Il dolore, qualunque dolore, è già di per sé una brutta bestia. Se poi è quello per la perdita di un figlio, la bestia è decisamente feroce. Se poi è quello di una madre che ha perso il proprio figlio allora è strazio allo stato puro. E se, puta caso, questo figlio non se l’è portato via una qualunque disgrazia, ma è stato lui a decidere di chiudere i conti con la vita come ha fatto il figlio di Franca, allora non ci sono parole per esprimerlo, questo dolore. E invece lei le ha sapute trovare, le parole.
Pescandole – estraendole, mi verrebbe da dire – dal più profondo di sé: in quell’assurdo buco nero di desolazione, dove in pochi sono in grado di arrivare, e di resistere. E dal quale solo le grandi anime sono in grado di riemergere.
Eppure la grandezza di questo piccolo libro – e della sua autrice – non è neppure questa. Perché la storia del suo-nostro Paolo è anche, e soprattutto, un meraviglioso paradosso: la storia di un suicidio che l’Amore ha saputo trasformare in una, mille resurrezioni.
Fra il ponte e l’acqua. Testimonianza di vita e di fede – Edizioni Antea (2012)
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