L’ora di lezione è preziosa: ogni minuto deve essere un passo avanti nella conoscenza. I ragazzi quindi devono lavorare, impegnarsi, faticare, concentrarsi. Da cancellare la scena di un insegnante che suda per farsi capire e gli alunni che si annoiano nel banco. Non si abbassano mai gli obiettivi minimi, piuttosto si adeguano, da un lato alle capacità e dall’altro alle abilità richieste dal mondo del lavoro e dal vivere sociale.
I ragazzi sono i protagonisti, o meglio i comprimari dell’attività didattica. Quindi di tutto devono essere non solo informati, ma resi partecipi, ancor meglio consultati richiedendo il loro parere, il loro contributo, la loro revisione e valutazione del lavoro svolto (non dell’insegnante).
L’alunno svogliato. Gli alunni “bravi” non hanno in fondo bisogno di un insegnante, perché saprebbero comunque capire e cavarsela da soli. Occorre riuscire a stanare chi è demotivato, preoccupato di non riuscire a farcela, pieno di lacune pregresse: Questo è il terreno in cui si vede quanto amiamo e crediamo al nostro lavoro: ci permette di sfamare anche gli inappetenti, aiutandoli a scoprire da soli la motivazione, il senso di quanto stiamo facendo.
La realtà nella quale i ragazzi vivono va fatta entrare prepotentemente nella scuola: la cronaca suggerisce, impone di essere ascoltata e valutata nel modo più equilibrato possibile. I ragazzi devono conoscere il mondo, nel suo bene e nel suo male; conoscere il passato per saper valutare il presente; percepire di essere un tassello di una comunità vasta e poliedrica. L’atteggiamento giusto, che rende possibile la quadratura impossibile di questo cerchio, è sempre il dialogo: nessuno impone la sua idea, ma tutti sono liberi di esprimersi. Ingredienti: ascolto e parola.
Vanno tenute sempre presente le dimensioni del tempo e dello spazio: ogni personaggio, fenomeno, idea, va collocato nella linea del tempo (infinito) e nella cartina geografica (planetaria). Vedere e toccare, misurare e confrontare aiutano a fissare nella memoria e a valutare correttamente.
La relazione è la base della vita scolastica: un ragazzo si relaziona con l’insegnante e con altri ragazzi. Se questo funziona, anche le difficoltà dello studio vengono affrontate con minor fatica, proprio perché ci si sente accompagnati, facilitati, incoraggiati. E ognuno a sua volta può diventare motore per altri. Imparare a stare con gli altri, gomito a gomito: una competenza insostituibile.
I programmi non possono certo essere ignorati, ma una regola fissata per scritto non conosce la dinamicità degli eventi, il cambiamento delle generazioni, le esigenze imposte dalla realtà sempre mutevole. Solo cercando di leggere i “segni dei tempi” possiamo consegnare alla società delle persone adeguate al contesto in cui vivranno.
La metà dell’insegnante non deve essere tanto quella di trasmettere nozioni, quanto quella di rendere l’alunno autonomo nella ricerca del sapere. È molto poco quello che gli possiamo insegnare, rispetto a quanto dovrà ancora apprendere, appena fuori dai banchi scolastici e per tutto il corso della sua vita. Saper leggere, capire, ascoltare e parlare, confrontare e valutare con spirito critico, sono abilità essenziali, più di ogni singola conoscenza. E saranno pedana di lancio per altre competenze che dovranno acquisire autonomamente.
Il percorso scolastico è irto di difficoltà, personali, culturali, ambientali, di relazioni. Se si impara a superare l’orgoglio ferito e la vergogna del proprio fallimento, questi non sono intralci, ma momenti preziosi, per imparare e sperimentare che un ostacolo deve diventare una pedana di lancio, un’occasione per ripensare a sé stessi e al senso che vogliamo dare al nostro presente e al nostro futuro, “Sbagliando, s’impara”. E questo vale anche per l’insegnante, in un accompagnamento reciproco.
Come una strada a doppia corsia, si è felici nel dare e nel ricevere: di questo deve fare esperienza ogni ragazzo. E anche l’insegnante stesso, ovviamente. Qui si costruisce una felicità particolare: quella dell’insieme, come un assaggio di quella società planetaria che sta per accogliere i ragazzi. “Offrire il proprio canto al mondo” è possibile quando si vuole restituire la Bellezza infinita e gratuita che abbiamo ricevuto. Anche, naturalmente, in mezzo a lacrime e ferite. “Se un bambino o un adolescente, durante i 13 anni che passa nella scuola, non si scopre dono per il mondo, noi abbiamo perso quei 13 anni” (D’Avenia).